Intervista ad un grande artista...

Intanto pubblico qui un'intervista che ho realizzato io ad un grande artista: Vasco Ascolini. In un momento in cui è scoppiata la moda della fotografia, soprattutto a Reggio dopo le varie mostre di Fotografia Europea, ho voluto rendere omaggio ad un grande fotografo reggiano e soprattutto ascoltando le sue parole si capisce come anche la fotografia sia una vera e propria arte non alla portata di tutti.


Chiedendo ad Ascolini come è nata la sua grande passione per la fotografia, lui spiega “Ho iniziato a lavorare come impiegato amministrativo all’Istituto d’Arte “G. Chierici” di Reggio e lì mi sono ritrovato in un mondo a me sconosciuto: il mondo dell’arte. Avevo il desiderio di cimentarmi anche io in un qualcosa di artistico, ma fin da subito capii che le mia manualità non mi poteva portare da nessuna parte, così, su suggerimento di un docente della scuola, mi feci prestare una macchina fotografica, una vecchia Voigtlander Vito B e iniziai a fare i primi scatti. Decisi così di partecipare ad un concorso per fotografi amatoriali e vinsi il primo premio: così mi dissi questa passione non può rimanere solo tale e la devo portare avanti.”

Quali luoghi o personaggi prediligeva per i primi scatti?
Le prime fotografie le ho realizzate negli atelier di alcuni amici artisti. Restavo per interi pomeriggi nei loro studi e li riprendevo mentre erano al lavoro nella creazione delle loro opere.

Da qui una lunga carriera di fotografo, iniziata negli anni ’80 al Teatro Valli di Reggio…
L’esperienza al Valli è durata 20 anni. In quegli anni il teatro passò da una gestione pubblica ad una privata e il primo direttore fu Guido Zannoni che capì che il teatro era un complesso meccanismo che valeva la pena di essere fotografato, così mi chiamò in qualità di fotografo ufficiale. Non solo dovevo fotografare gli attori, i mimi e i ballerini in scena, ma dovevo riprendere anche tutto il lavoro che veniva svolto dietro le quinte. Erano anni d’oro per il teatro e il Valli di Reggio ospitava anche grandi compagnie teatrali giapponesi e proprio durante questa permanenza della compagnia del teatro Kabuki ho realizzato importanti scatti. L’ultimo servizio che ho realizzato per il teatro è stato quando Marta Graham ha portato a Reggio il suo spettacolo. Di questo lavoro ventennale sono state fatte importanti mostre: nel 1974 presso il Teatro Valli di Reggio e nel 1985 al Lincoln Center di New York. Durante questo periodo cambiai il mio modo di lavorare, qui capii la differenza tra fotografia amatoriale e fotografia professionale. La foto amatoriale è fine a se stessa, mentre quando si inizia a lavorare in modo professionale si deve realizzare un intero progetto di fotografie collegate tra loro da un senso.

Il suo lavoro l’ha portata a viaggiare molto, soprattutto in Francia, dove ha proseguito la sua attività e ha iniziato a riprendere anche altri soggetti…
In Francia ho lavorato tantissimo e non bisogna dimenticare che Arles è la città per eccellenza della fotografia mondiale. Fin dall’inizio, erano gli anni ’80, mi piaceva trascorrere molto tempo al museo del Louvre, dove, a differenza dei musei italiani, potevo realizzare delle fotografie di opere d’arte, dai quadri alle statue, che erano esposti nelle sale. Il mondo del museo mi affascinava, così ho deciso di scattare diverse immagini all’interno del Louvre e ad altri musei, come il Musee Rodin sempre a Parigi. I soggetti che più fotografavo erano statue e reperti: prima li fotografavo nei musei, ad esempio ho fatto importanti scatti nella sezione egiziana al Louvre, poi molte volte si andava anche sul sito archeologico. Due esperienze sono state particolarmente significative: il servizio che ho realizzato a Pompei e gli scatti fatti ad Orange, città della Francia meridionale, dove si trova un teatro romano dove è ancora ben mantenuta l’antica scena e di questo lavoro ho, poi, realizzato una mostra.

LA CIFRA STILISTICA
Gli scatti di Vasco Ascolini sono molto particolari: si denota un uso del bianco e nero, non compare mai un colore, e soprattutto uno sguardo attento verso i particolari che siano di una persona o un paesaggio. Il fotografo ci spiega “Fin dai primi scatti ho voluto ritrarre solo alcuni particolari, non intere zone o vedute, queste le fotografano i “vedutisti” che si rifanno alla pittura e all’arte antica. Scelgo di fotografare solo una parte per poter stimolare l’immaginario di chi guarda: è la teoria della parte per il tutto, la cosiddetta pars pro toto, così resta sempre un alone di mistero.” Prosegue “Ad esempio quando lavoravo in teatro realizzavo le mie fotografie dal palco di proscenio e lì coglievo i momenti in cui gli attori entravano o uscivano dalla scena, ma ciò che ho sempre voluto mettere in evidenza erano le singole parti del corpo dell’attore: un braccio, una gamba e raramente il volto, che spesso era ricoperto da una maschera.

Anche la “cifra al nero” avvolge le fotografie di mistero…
Esattamente, io le fotografie me le sviluppo da solo nella mia camera oscura, in quel momento posso mutare ogni cosa e far venire l’effetto che desidero. Decido quali parti evidenziare e quali no attraverso l’effetto del nero, anche se quasi sempre nel momento in cui scatto una fotografia me la immagino già come sarà quando l’ho sviluppata, è quindi raro che modifichi di tanto le mie immagini nel passaggio dal negativo al positivo.

Perché la scelta del bianco e nero?
Il bianco e nero è da sempre una tradizione reggiana, tradizione quindi da portare avanti, mentre la scuola di pensiero modenese predilige il colore. In verità ho sempre ritenuto poco intelligente e non mi ha mai convinto la risposta dei coloristi alla domanda “perché decide di fotografare a colori?”: la risposta che spesso ho sentito è perché il mondo è a colori , ma anche le tonalità e le sfumature del grigio per me sono i colori della vita. Ed è vero che il mondo è a colori, ma quelli delle fotografie non sono i colori reali, perché ogni modello di macchina fotografica ha i suoi colori.

LA FOTOGRAFIA COME NUOVA ARTE
Fino a qualche decennio fa la fotografia non era considerata una vera e propria arte al pari della pittura e della scultura, perché alcuni critici, come ad esempio Walter Benjamin, dicevano “alla fotografia manca l’aura tipica dell’opera d’arte, cioè l’unicità del pezzo d’arte. Una fotografia si può riprodurre tutte le volte che si vuole e ogni copia è identica all’altra.

Cosa ne pensa di questo concetto?
La fotografia è figlia della grafica e dell’incisione che sono considerate a tutti gli effetti forme artistiche e il fatto che ne possano esistere tante copie non incide sulla bellezza dell’opera. Anche in fotografia ci può essere l’opera unica, perché se dopo averla sviluppata taglio il negativo questa foto non la posso più riprodurre. Tutto questo diventa una speculazione di mercato, perché, ovviamente, un’opera unica in fotografia diventa molto più costosa rispetto ad un normale scatto.

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