Gaetano Baglieri. L'universo dentro alla ceramica.
Dal 22 febbraio la Sala delle Colonne del Liceo Artistico "G. Chierici" di Reggio Emilia farà da cornice alla mostra dello scultore e ceramista Gaetano Baglieri.
Dall’Africa alla
Sicilia per arrivare a Faenza. Un viaggio continuo quello di Gaetano Baglieri e
proprio da questo viaggiare parte la sua poetica, la sua arte. Un punto fermo
nella sua vita che lo riempì di un vuoto incolmabile. Da qui Gaetano Baglieri
cambia la sua visione di vedere il mondo. E da qui la sua arte futura, lui
stesso afferma “la vita non può essere statica ma in continuo divenire, in
movimento appunto. In tutte le mie opere non c’è mai staticità.” In Sicilia
imparò a conoscere l’arte della ceramica e poi si trasferì nella terra per
eccellenza della maiolica, Faenza. In Romagna entrò in contatto con grandi
Maestri dell’arte ceramica come Carlo Zauli e Uberto Zannoni, ma da curioso
scopritore di nuove arti quale era Baglieri, continuò i suoi viaggi in Danimarca
e Finlandia dove perfezionò l’arte legata all’architettura.
Ma ad un tratto
sentì forse il bisogno di fermarsi in un luogo dove poter continuare a lavorare
e a fare le sue ricerche per nuovi progetti artistici e questo luogo fu Reggio
Emilia. Sarà a Reggio che, sotto la guida del direttore Uberto Zannoni,
inizierà il suo percorso da insegnante al locale Istituto d’Arte “G. Chierici”.
Baglieri inizierà quindi ad impegnarsi come direttore della sezione ceramica ma
senza mai dimenticarsi di essere prima di tutto un artista. E’ lui stesso a
raccontare simpatici episodi “Mi è sempre piaciuto insegnare ma io non ero
fatto per stare alle “regole” della scuola, non era raro infatti che mi
dimenticassi che avevo lezione e i bidelli mi venivano a chiamare a casa perché
gli studenti erano in classe che mi aspettavano.”
Concluso poi
definitivamente la parentesi da insegnante Baglieri si dedicherà prettamente
alla sua arte che spazia dalla ceramica alla grafica.
Un grande amore
lega Baglieri alla ceramica, materia che ha sempre plasmato e che gli ha
permesso di fare un viaggio tra l’universo, i pianeti per arrivare infine al
cosmo e alla terra. Una serie di sfere, tutte diverse tra loro ma accomunate
dalle tonalità di colore, mai un colore acceso o d’impatto ma sempre le
tonalità del nero, del bianco o del marrone. Come racconta l’artista “Il nero è
la somma di tutti i colori quindi l’infinito. Il bianco è la vita e la luce. E
la base di questi smalti che utilizzo è la cenere.”
Ma perché la forma sferica? L’artista passa dal
cubo, elemento stabile, al cerchio, elemento in continuo movimento, ecco la
poetica del movimento, la ricerca del movimento perpetuo. Le sue opere non sono
mai ferme, ma ruotano, si muovono, il concetto è che la scultura deve essere
viva, deve acquistare vita. L’artista ricerca la forma perfetta e questa l’ha
trovata nel cerchio, forma perfetta per eccellenza ma questo cerchio è metafora
del mondo, tutt’altro che perfetto. Ecco allora perché il cerchio è vuoto al
centro o porta dei graffi, questi sono le ferite del mondo malato. Una ferita
che può essere tagliata o dipinta rappresenta proprio tutto quello che è il
marcio del mondo. L’artista ci presenta le sfere in coppia o in composizioni
multiple e in una concezione quasi elementare il bianco rappresenta il mondo di
giorno e il nero le tenebre della notte, poi le sfere ruotano e arrivano a
sovrapporsi creando la forma dell’infinito. Ma ad un tratto entra in gioco una
contraddizione: dalla perfezione della sfera all’imperfezione della tecnica a
lucignolo dove è l’artista che fa girare l’oggetto, ecco perché l’oggetto non
sarà mai perfetto come un’opera realizzata al tornio. Ma questa contraddizione
piace all’artista che racconta “l’imperfezione dona all’opera una certa
sensibilità altrimenti assente. E qui c’è un ritorno all’arte antica, all’arte
ellenica per arrivare però all’arte concettuale contemporanea.” Citando la
tecnica a lucignolo non si può quindi non parlare del periodo che Baglieri
trascorre a Faenza nelle botteghe dei Maestri ceramisti Carlo Zauli, Angelo
Biancini e Uberto Zannoni che poi seguirà nella città emiliana dove Zannoni da
direttore dell’Istituto d’Arte, nel 1961 aprirà la sezione d’arte ceramica mai
esistita prima. Ma Gaetano porta un po’ della sua Sicilia a Faenza, sarà qui
che perfezionerà l’antica tecnica della foggiatura a lucignolo, utilizzata in
Sicilia soprattutto per creare le giare.
Poi ad un tratto
Baglieri cambierà la sua visione dell’arte. Sono gli anni ’70. Gli anni della
rivoluzione operaia e lo stesso Baglieri lavorava in fabbrica. Ritorna anche
qui il concetto di movimento ma in modo completamente diverso, in quanto
Baglieri pensa “non tutti si possono forse permettere di poter acquistare
un’opera di grandi dimensioni come le mie. Da questo momento ho iniziato a
creare dei grandi pannelli ma modulari. Insomma ognuno si poteva creare il suo
pannello.” E infatti osservando le sue opere di questi anni si nota proprio
come questi pannelli che possono sembrare alla prima occhiata tutti uguali, in
realtà cambiando solo qualche elemento si differenziano. Il gioco sta nel fatto
di volgere in modo diverso lo stesso tassello per creare movimento. Un
tassello, mille tasselli, ognuno si compone di quanti tasselli vuole la propria
opera. E da qui parte un complesso concetto politico, evitando anche la pura e
mera mercificazione dell’opera d’arte.
Poi il passaggio
dalla ceramica alla grafica. Sono sempre gli anni ’70 quando avanza sempre di
più l’edilizia e l’opera dell’uomo distrugge la natura. Un cambiamento che
colpisce particolarmente l’artista. Una serie di disegni realizzati con la
china dove in primo piano non manca mai una figura femminile e sullo sfondo una
lamina di acciaio. Il mondo sta cambiando ma la gente gli volta le spalle.
Nessuno fa nulla per contrastare questo cambiamento.
Monica Baldi
Giornalista
Cultura e Spettacoli
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